Giovanni della Croce nacque nel 1542 nel piccolo villaggio di Fontiveros, vicino
ad Avila, nella Vecchia Castiglia, da Gonzalo de Yepes e Catalina Alvarez. La
famiglia era poverissima, perché il padre, di nobile origine toledana, era stato
cacciato di casa e diseredato per aver sposato Catalina, un'umile tessitrice di
seta. Orfano di padre in tenera età, Giovanni, a nove anni, si trasferì, con la
madre e il fratello Francisco, a Medina del Campo, vicino a Valladolid, centro
commerciale e culturale. Qui frequentò il Colegio de los Doctrinos,
svolgendo anche alcuni umili lavori per le suore della chiesa-convento della
Maddalena. Successivamente, date le sue qualità umane e i suoi risultati negli
studi, venne ammesso prima come infermiere nell'Ospedale della Concezione, poi
nel Collegio dei Gesuiti, appena fondato a Medina del Campo: qui Giovanni entrò
diciottenne e studiò per tre anni scienze umane, retorica e lingue classiche.
Alla fine della formazione, egli aveva ben chiara la propria vocazione: la vita
religiosa e, tra i tanti ordini presenti a Medina, si sentì chiamato al Carmelo.
Nell’estate del 1563 iniziò il noviziato presso i Carmelitani della città,
assumendo il nome religioso di Giovanni di San Mattia. L’anno seguente venne destinato alla
prestigiosa Università di Salamanca, dove studiò per un triennio arti e
filosofia. Nel 1567 fu ordinato sacerdote e ritornò a Medina del Campo per
celebrare la sua Prima Messa circondato dall'affetto dei famigliari.
Proprio qui
avvenne il primo incontro tra Giovanni e Teresa di Gesù. L’incontro fu decisivo
per entrambi: Teresa gli espose il suo piano di riforma del Carmelo anche nel
ramo maschile dell'Ordine e propose a Giovanni di aderirvi “per maggior gloria
di Dio”; il giovane sacerdote fu affascinato dalle idee di Teresa, tanto da
diventare un grande sostenitore del progetto. I due lavorarono insieme alcuni
mesi, condividendo ideali e proposte per inaugurare al più presto possibile la
prima casa di Carmelitani Scalzi: l’apertura avvenne il 28 dicembre 1568 a
Duruelo, luogo solitario della provincia di Avila. Con Giovanni formavano questa
prima comunità maschile riformata altri tre compagni. Nel rinnovare la loro
professione religiosa secondo la Regola primitiva, i quattro adottarono un
nuovo nome: Giovanni si chiamò allora “della Croce”, come sarà poi
universalmente conosciuto. Alla fine del 1572, su richiesta di santa Teresa,
divenne confessore e vicario del monastero dell’Incarnazione di Avila, dove la
Santa era priora. Furono anni di stretta collaborazione e amicizia spirituale,
che arricchì entrambi. Α quel periodo risalgono anche le più importanti opere
teresiane e i primi scritti di Giovanni.
L’adesione alla riforma carmelitana non fu facile e costò a Giovanni anche gravi
sofferenze. L’episodio più traumatico fu, nel 1577, il suo rapimento e la sua
incarcerazione nel convento dei Carmelitani dell'Antica Osservanza di Toledo, a
seguito di una ingiusta accusa. Il Santo rimase imprigionato per mesi,
sottoposto a privazioni e costrizioni fisiche e morali. Qui compose, insieme ad
altre poesie, il celebre Cantico spirituale.
Finalmente, nella notte tra
il 16 e il 17 agosto 1578, riuscì a fuggire in modo avventuroso, riparandosi nel
monastero delle Carmelitane Scalze della città. Santa Teresa e i compagni
riformati celebrarono con immensa gioia la sua liberazione e, dopo un breve
tempo di recupero delle forze, Giovanni fu destinato in Andalusia, dove
trascorse dieci anni in vari conventi, specialmente a Granada. Assunse incarichi
sempre più importanti nell'Ordine, fino a diventare Vicario Provinciale, e
completò la stesura dei suoi trattati spirituali. Tornò poi nella sua terra
natale, come membro del governo generale della famiglia religiosa teresiana, che
godeva ormai di piena autonomia giuridica. Abitò nel Carmelo di Segovia,
svolgendo l'ufficio di superiore di quella comunità. Nel 1591 fu sollevato da
ogni responsabilità e destinato alla nuova Provincia religiosa del Messico.
Mentre si preparava per il lungo viaggio con altri dieci compagni, si ritirò in
un convento solitario vicino a Jaén, dove si ammalò gravemente. Giovanni
affrontò con esemplare serenità e pazienza enormi sofferenze. Morì nella notte tra il 13 e il
14 dicembre 1591, mentre i confratelli recitavano l'Ufficio mattutino. Si
congedò da essi dicendo: “Oggi vado a cantare l'Ufficio in cielo”. I suoi resti
mortali furono traslati a Segovia. Venne beatificato da Clemente X nel 1675 e
canonizzato da Benedetto XIII nel 1726.
Giovanni è considerato uno dei più importanti poeti lirici della letteratura
spagnola. Le opere maggiori sono quattro: Ascesa al Monte Carmelo, Notte
oscura, Cantico spirituale e Fiamma d'amor viva.
Nel Cantico spirituale, san Giovanni presenta il cammino di purificazione dell’anima, e cioè il
progressivo possesso gioioso di Dio, finché l’anima perviene a sentire che ama
Dio con lo stesso amore con cui è amata da Lui. La Fiamma d'amor viva prosegue
in questa prospettiva, descrivendo più in
dettaglio lo stato di unione trasformante con Dio. Il paragone utilizzato da
Giovanni è sempre quello del fuoco: come il fuoco quanto più arde e consuma il
legno, tanto più si fa incandescente fino a diventare fiamma, così lo Spirito Santo,
che durante la notte oscura purifica e “pulisce”
l'anima, col tempo la illumina e la scalda come se fosse una fiamma. La vita
dell'anima è una continua festa dello Spirito Santo, che lascia intravedere la
gloria dell'unione con Dio nell'eternità.
L’Ascesa al Monte Carmelo presenta l'itinerario spirituale dal
punto di vista della purificazione
progressiva dell'anima, necessaria per scalare la vetta della perfezione
cristiana, simboleggiata dalla cima del Monte Carmelo. Tale purificazione è
proposta come un cammino che l’uomo intraprende, collaborando con l'azione
divina, per liberare l'anima da ogni attaccamento o affetto contrario alla
volontà di Dio. La purificazione, che per giungere all'unione d’amore con Dio
dev’essere totale, inizia da quella della vita dei sensi e prosegue con quella
che si ottiene per mezzo delle tre virtù teologali: fede, speranza e carità, che
purificano l'intenzione, la memoria e la volontà. La Notte oscura
descrive l'aspetto “passivo”, ossia l'intervento di Dio in questo
processo di “purificazione” dell'anima. Lo sforzo umano, infatti, è incapace da
solo di arrivare fino alle radici profonde delle inclinazioni e delle abitudini
cattive della persona: le può solo frenare, ma non sradicarle completamente. Per
farlo, è necessaria l’azione speciale di Dio che purifica radicalmente lo
spirito e lo dispone all'unione d'amore con Lui. San Giovanni definisce
“passiva” tale purificazione, proprio perché, pur accettata dall'anima, è
realizzata dall’azione misteriosa dello Spirito Santo che, come fiamma di
fuoco, consuma ogni impurità. In questo stato, l’anima è sottoposta ad ogni
genere di prove, come se si trovasse in una notte oscura.
Queste indicazioni sulle opere principali del Santo ci aiutano ad avvicinarci ai
punti salienti della sua vasta e profonda dottrina mistica, il cui scopo è
descrivere un cammino sicuro per giungere alla santità, lo stato di perfezione
cui Dio chiama tutti noi. Secondo Giovanni della Croce, tutto quello che esiste, creato da Dio, è buono.
Attraverso le creature, noi possiamo pervenire alla scoperta di Colui che in
esse ha lasciato una traccia di sé. La fede, comunque, è l’unica fonte donata
all'uomo per conoscere Dio così come Egli è in se stesso, come Dio Uno e Trino.
Tutto quello che Dio voleva comunicare all'uomo, lo ha detto in Gesù Cristo, la
sua Parola fatta carne. Gesù Cristo è l’unica e definitiva via al Padre (cfr
Gv 14,6). Qualsiasi cosa creata è nulla in confronto a Dio e nulla vale al
di fuori di Lui: di conseguenza, per giungere all'amore perfetto di Dio, ogni
altro amore deve conformarsi in Cristo all’amore divino. Da qui deriva
l'insistenza di san Giovanni della Croce sulla necessità della purificazione e
dello svuotamento interiore per trasformarsi in Dio, che è la meta unica della
perfezione. Questa “purificazione” non consiste nella semplice mancanza fisica
delle cose o del loro uso; quello che rende l'anima pura e libera, invece, è
eliminare ogni dipendenza disordinata dalle cose. Tutto va collocato in Dio come
centro e fine della vita. Il lungo e faticoso processo di purificazione esige
certo lo sforzo personale, ma il vero protagonista è Dio: tutto quello
che l'uomo può fare è “disporsi”, essere aperto all'azione divina e non porle
ostacoli. Vivendo le virtù teologali, l’uomo si eleva e dà valore al proprio impegno. Il ritmo di
crescita della fede, della speranza e della carità va di pari passo con l’opera
di purificazione e con la progressiva unione con Dio fino a trasformarsi in Lui.
Quando si giunge a questa meta, l'anima si immerge nella stessa vita trinitaria,
così che san Giovanni afferma che essa giunge ad amare Dio con il medesimo amore
con cui Egli la ama, perché la ama nello Spirito Santo. Ecco perché il Dottore
Mistico sostiene che non esiste vera unione d’amore con Dio se non culmina
nell’unione trinitaria. In questo stato supremo l'anima santa conosce tutto in
Dio e non deve più passare attraverso le creature per arrivare a Lui. L’anima si
sente ormai inondata dall'amore divino e si rallegra completamente in esso.
Cari fratelli e sorelle, alla fine rimane la questione: questo santo con la sua
alta mistica, con questo arduo cammino verso la cima della perfezione ha da dire
qualcosa anche a noi, al cristiano normale che vive nelle circostanze di questa
vita di oggi, o è un esempio, un modello solo per poche anime elette che possono
realmente intraprendere questa via della purificazione, dell'ascesa mistica? Per
trovare la risposta dobbiamo innanzitutto tenere presente che la vita di san
Giovanni della Croce non è stata un “volare sulle nuvole mistiche”, ma è stata
una vita molto dura, molto pratica e concreta, sia da riformatore dell'ordine,
dove incontrò tante opposizioni, sia da superiore provinciale, sia nel carcere
dei suoi confratelli, dove era esposto a insulti incredibili e a maltrattamenti
fisici. E’ stata una vita dura, ma proprio nei mesi passati in carcere egli ha
scritto una delle sue opere più belle. E così possiamo capire che il cammino con
Cristo, l'andare con Cristo, “la Via”, non è un peso aggiunto al già
sufficientemente duro fardello della nostra vita, non è qualcosa che renderebbe
ancora più pesante questo fardello, ma è una cosa del tutto diversa, è una luce,
una forza, che ci aiuta a portare questo fardello. Se un uomo reca in sé un
grande amore, questo amore gli dà quasi ali, e sopporta più facilmente tutte le
molestie della vita, perché porta in sé questa grande luce; questa è la fede:
essere amato da Dio e lasciarsi amare da Dio in Cristo Gesù. Questo lasciarsi
amare è la luce che ci aiuta a portare il fardello di ogni giorno. E la santità
non è un'opera nostra, molto difficile, ma è proprio questa “apertura”: aprire e
finestre della nostra anima perché la luce di Dio possa entrare, non dimenticare
Dio perché proprio nell'apertura alla sua luce si trova forza, si trova la gioia
dei redenti. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a trovare questa santità,
lasciarsi amare da Dio, che è la vocazione di noi tutti e la vera redenzione.
Grazie.
Benedetto XVI
(dalla catechesi sui Dottori della Chiesa)