Testimone di Dio con coraggio e fedeltà

S. Alberto di Gerusalemme
Testimone di Dio coraggioso e fedele – Estensore della Regola
Memoria liturgica: 17 settembre

Per comprendere la figura di questo grande santo considerato un padre da tutti i Carmelitani è necessario tener presente il tempo in cui visse e la profonda crisi che allora la Chiesaattraversava .
Gli anni della sua formazione furono funestati dalla lotta fra la Chiesa e l’Impero al punto che durante il papato di Alessandro III (1159-1181) vennero eletti tre antipapi con l’appoggio dell’imperatore Federico Barbarossa. Spesso sorgevano controversie fra il papato e il senato di Roma di cui facevano parte gli esponenti delle grandi famiglie romane per cui il Papa era costretto a rifugiarsi altrove.
In tutto l’Occidente si sentiva la necessità di una moralizzazione dei costumi della Chiesa e di un ritorno a quegli ideali evangelici che buona parte del clero non incarnava più. Per rispondere a queste esigenze sorsero movimenti spontanei sia in seno alla Chiesa che al di fuori di essa come gli Umiliati e gli stessi Francescani.

Sant’Alberto nacque verso la metà del XII secolo nella città di Castel Gualtieri, in Emilia e dei suoi primi anni di vita si hanno poche notizie, non si è nemmeno certi della sua appartenenza alla nobile famiglia degli Avogadro. Di sicuro studiò ed entrò fra i Canonici Regolari di Santa Croce di Mortara dove abbracciò la vita religiosa, infatti la prima data certa della sua biografia è l’elezione a Priore di quella comunità nel 1180 a testimonianza della fama di alta dottrina, di abilità di governo e di coerenza di vita di cui godeva.


Dopo soli 4 anni fu nominato vescovo di Bobbio e dal 1185 per 20 anni resse la diocesi di Vercelli. Fu universalmente stimato per la sua capacità di mediatore e di pacificatore tanto che gli furono affidate da papa Innocenzo III delicate missioni per comporre liti tra le città di Pavia e Milano e poi fra Parma e Piacenza che egli svolse con rara prudenza e fermezza, riuscì anche a comporre la contesa fra il papato e Federico Barbarossa e quest’ultima impresa gli valse il titolo di Principe dell’Impero conferitogli da Enrico IV figlio di Federico.

Durante questo periodo della sua vita, Sant’Alberto dettò gli statuti per i Canonici di Biella, e qualche anno più tardi (1201) , su incarico del Papa fu tra i consiglieri che elaborarono la regola per gli Umiliati quando Innocenzo III volle trasformare il movimento in un ordine religioso.

Dopo circa 10 anni dalla sua nomina a vescovo di Vercelli indisse un Sinodo Diocesano che rivestì una grande importanza per la Chiesa, soprattutto per la sua parte disciplinare, servita di norma fino ai tempi moderni.

La figura che emerge dai dati a nostra disposizione in questa prima parte della sua vita è quella di un religioso che mette tutto se stesso e i suoi talenti al servizio della Chiesa, che ubbidisce ai desideri del Papa svolgendo senza risparmiarsi tutti gli incarichi affidatigli. Infine, certamente fu uno studioso della vita comunitaria di cui gettò le basi per ben due gruppi di consacrati che aspiravano ad una vita di perfezione.

Dopo la rinuncia di Goffredo al patriarcato di Gerusalemme, i Canonici Regolari del Santo Sepolcro, appoggiati da re Amalrico di Lusingano, lo elessero loro Patriarca; nel 1205 papa Innocenzo III ratificò la nomina e in una lettera lo pregò di accettarla, ma non si limitò a questo: sapendo le difficoltà e i problemi inerenti alla sede gli conferì la nomina di Legato Pontificio e il Pallio che avrebbero accresciuto il suo prestigio e la sua autorità.

Sant’Alberto giunse in Terra Santa all’inizio del 1206, fissò la sua dimora in Accon (San Giovanni d’Acri) poiché Gerusalemme era in mano ai Saraceni.

Anche da Patriarca ebbe incarichi importanti da papa Innocenzo III, fu mediatore fra il re di Cipro e quello di Gerusalemme, fra il re di Armenia e il Conte di Tripoli, fra i Templati ed entrambi questi personaggi.

Trattò con il Sultano d’Egitto con cui operò uno scambio di prigionieri e inviò ambasciatori al sultano di Damasco per la pace in Terra Santa. Svolse un’azione incisiva anche a livello ecclesiale rimuovendo religiosi indegni e sostituendoli con altri.

Dalle numerose lettere che papa Innocenzo III gli inviò traspare tutta la stima che aveva per lui che considerava dotato di Saggezza Prudenza e Fortezza non comuni attribuendo alla sua opera se la Terra Santanon finì del tutto sotto il dominio dei Saraceni: “Noi lo dobbiamo in gran parte ai vostri sforzi” gli scrisse papa Innocenzo III nel 1209 “se la provincia orientale è in certa misura libera da persecuzioni e restituita alla pace”.

In quegli anni sul monte Carmelo, presso la fonte detta di Elia, vivevano eremiti che si sforzavano di seguire una via di perfezione. La loro provenienza era varia: c’erano europei giunti in Terra Santa per lo più con i crociati, a volte crociati essi stessi, e c’erano eremiti provenienti dall’Asia che portavano in quel luogo il peso e il prestigio delle loro tradizioni da cui non volevano discostarsi, tradizioni che risultavano estranee agli eremiti di origine europea.

La figura di spicco fra tutti costoro era Brocardo, considerato dagli altri eremiti come punto di riferimento e che era legato da stretta amicizia con il Patriarca Alberto, questo, resosi conto delle difficoltà che potevano sorgere, gli si rivolse per “ottenere la soluzione di molti dubbi e difficoltà che si proponevano dai suoi religiosi sulla maniera in cui doveva intendersi la vita comune nel Carmelo”.

Ciò avveniva nel 1207-1209, cioè nei primi anni che sant’Alberto trascorse in Accon. Così il Patriarca di Gerusalemme, nonché legato pontificio cioè rappresentante legale del Papa in Terra Santa scrisse la regola che permise ai Carmelitani di non essere soppressi quando il Concilio Ecumenico Lateranense nel 1215 proibì la nascita di altri ordini.

Nel testo egli si rivolge a “Brocardo e agli altri eremiti che dimorano sotto la sua obbedienza sul monte Carmelo presso la fonte detta di Elia” , nel dettare la regola sant’Alberto codificò certamente quella che era la tradizione monastica del Carmelo ma indubbiamente manifestò in quelle parole i tratti distintivi della propria spiritualità. Lo stesso linguaggio adottato dal Patriarca è semplice solo in apparenza e si accomuna a quello degli antichi padri. La formula iniziale per esempio (“Alberto, chiamato per grazia di Dio ad essere Patriarca dell Chiesa di Gerusalemme…”) richiama l’inizio delle lettere di san Paolo e via via che si legge, la Regola evidenzia riferimenti alle Sacre Scritture così radicati nel testo da essere quasi nascosti nel fluire della parola scritta, ciò a testimonianza di un vissuto di chi scrive intrisi della Parola.

Sant’Alberto insiste particolarmente perché la preghiera, la meditazione della parola di Dio nella continua orazione siano la realtà vissuta quotidianamente dai monaci, le stesse prescrizioni di vita pratica sono tutte ordinate in modo da portare i monaci a realizzare con la maggior perfezione possibile il precetto enunciato nel secondo paragrafo: “Vivere in ossequio di Gesù Cristo e a Lui servire fedelmente con cuore puro e in buona coscienza”.

E se pensiamo alla vita di questo grande santo, spesa per la Chiesa sia in Europa che in Terra Santa, e se pensiamo alla sua morte, pugnalato nel 1214 durante una processione dal maestro dell’Ospedale del Santo Sepolcro che aveva rimproverato e deposto, dobbiamo concludere che queste parole descrivono proprio la sua vita in modo completo.

(Vincenza ocds)